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lunedì 15 aprile 2024

Poroniec - W Po​ł​ogu

#PER CHI AMA: Black/Death
Della serie picchiare come fabbri, questa sera vi presentiamo 'W Po​ł​ogu', atto primo dei polacchi Poroniec. Una tempesta sonora che potrebbe essere assimilabile al moniker dei nostri che si rifà a un demone maligno della mitologia slavonica, dotato di una faccia deforme, nato dall'anima di un feto morto intenzionalmente, e direi ben rappresentato nella cover del disco. Non lasciatevi pertanto tranquillizzare da quell'intro melliflua che apre il disco, perchè ben presto verrete investiti dalla furia disumana del duo di Kraków, che in "Nieprzystępni" vi travolgerà brutalmente con un black death senza troppi fronzoli, comunque tecnicamente valido e interessante. Produrre musica originale al giorno d'oggi è diventato qualcosa di più unico che raro, quindi sarà meglio non riporre troppe aspettative in fatto di originalità della proposto, e semmai sarà meglio gustarsi questo treno impazzito che vi si scaraventerà addosso, traccia dopo traccia, il suo enorme carico di odio. I brani scorrono veloci che è una meraviglia, tra parti cazzutissime e altre più rallentate ("Niedorzeczności"), dove la band arriva a proporre addirittura cori puliti (e anche una voce femminile in sottofondo, che dovrebbe appartenere a Hekte Zaren degli Adaestuo) che fanno da contraltare a un growl possente e convincente, oltre che a ritmiche dapprima oblique e poi sparate a velocità impressionanti, ma sempre permeate di una sottile epicità di fondo che renderà l'ascolto di 'W Po​ł​ogu', un'interessante esperienza conoscitiva. "Moralności" continua sulla falsariga delle precedenti, affidandosi a una disarmonica e compassata linea di chitarra su cui poi imbastire le varie accelerazioni, distorsioni, rallentamenti e incursioni di altre ospiti (la già citata Hekte e tal Justyna Walczyk) che vanno ad arricchire un brano che altrimenti rischierebbe di finire nell'anonimato. Il disco è comunque solido, e lo testimoniano anche altre song, dalla malinconica "Przypadłości", passando per la glacialità post black affidata agli splendidi tremolo picking di "Mądrości", fino ad arrivare ai 13 minuti conclusivi di "Wątpliwości", che condensano tutte le peculiarità esibite dal combo polacco. Si passa infatti con somma disinvoltura dal black mid-tempo iniziale al debordante sound innescato attorno al terzo minuto, per poi rallentare pericolosamente un minuto più tardi. I nostri ci offrono poi un demoniaco e salmodiante intermezzo ambient tra il settimo e il nono minuto, per finire di scardinare ogni barriera sonora nella coda del brano e sancire definitivamente la loro pericolosità strumentale. (Francesco Scarci)

Deathlike Dawn - Among the Graves of the Archetypes

#PER CHI AMA: Black Old School
Melodie sinistre, oscure e malefiche per un black metal avvolto da profondo mistero. Stiamo parlando dei polacchi Deathlike Dawn e del loro secondo album, 'Among the Graves of the Archetypes', uscito a distanza di quattro anni dal precedente 'Deliria and Dreams'. Un disco che affonda sicuramente le proprie radici nel black old school anni '90, con tanto di scricchiolanti riff, ridondanti ritmiche (come il buon Burzum era solito infarcire i propri lavori) e gracchianti grim vocals, il tutto impastato da un suono sporco e cattivo, in cui gli strumenti non sono peraltro cosi facilmente identificabili. Eppure, nonostante quello che sembra essere un bel pastrocchio, il disco dei nostri riesce a cogliere la mia attenzione e generare comunque emozioni piacevoli. I primi due pezzi, "A Monument I Shall Raise in Flame" e "Plutonic Ether" li trovo davvero buoni, per quanto non propongano nulla di innovativo nel loro ipnotico incedere di chitarre e azzeccatissime melodie che non tolgono comunque quell'impatto old school alla release. Sembra infatti di essere catapultati indietro nel tempo di 30 anni quando (i futuri) mostri sacri norvegesi, si stavano affacciando sulla sena. E penso ai primissimi Enslaved, Emperor, Dimmu Borgir, Burzum e Gehenna, e le loro proposte di black minimalista ma comunque contraddistinto da un piglio atmosferico, che alla fine convergeranno tutte insieme nelle note di questo disco marcescente ma indovinatissimo. Nella proposta dei Deathlike Dawn ci sento poi anche un che del cosmic black dei Darkspace, soprattutto nel secondo brano, che inizia all'insegna di un black doom, per poi evolvere con i suoi synth e tastiere, verso un black atmosferico, in grado di creare una sorte di sospensione del tempo. Con "Forked Tongues of Eternal Fire", il duo di Wrocław esibisce un black più tirato, che ammicca anche ai Windir nella linea delle chitarre in super tremolo picking. Che dire, se non che tutti gli amanti di simili sonorità, dovrebbero approcciare questa nuova realtà polacca, per lo meno per dargli un'occasione. Io mi sento di dargliela, anche laddove i nostri non offrono palesemente nulla di originale. Ascoltare però "Darkly Treads the Twilight" è un po' come riscoprire 'Vikingligr Veldi' degli Enslaved, mentre con la rutilante "In Tenebrous Depths, a Transfiguration" mi lascio piacevolmente investire dalla martellante contraerea dei nostri. In chiusura la caustica "Dew and Blood", pezzo rabbioso ma che forse non concede grosse emozioni, se non nel comparto solistico, dove la band si diletta con ottimi assoli e una furibonda cavalcata conclusiva. Nostalgici. (Francesco Scarci)

martedì 2 aprile 2024

Lilla Veneda - Primordial Movements

#PER CHI AMA: Black/Death
Li avevamo conosciuti in occasione del loro secondo album omonimo. Ora, i polacchi Lilla Veneda tornano a distanza di sei anni da quel lavoro, con questo nuovo autoprodotto 'Primordial Movements', incentrato sul dibattito tra scienza, arte e filosofia. La proposta musicale del trio di Wrocław continua a percorrere la strada del black/death, arricchita però da una certa verve grooveggiante che rende il disco di più facile assimilazione. Questo è testimoniato fin da subito, dall'opener "Fury Dimension", che ci scarica addosso una sassaiola di riff, smorzata in realtà, da una ritmica sincopata che mi ha evocato i Septicflesh di 'Communion'. Interessanti non c'è che dire, sebbene un genere verosimilmente iper-inflazionato come potrebbe essere quello proposto dai nostri. Tuttavia, durante l'ascolto delle nove tracce qui incluse, non si correrà certo il rischio di annoiarsi o peggio, appisolarsi, visto che l'act polacco, ci terrà costantemente sulla corda con un sound intenso, a tratti debordante, ma comunque sempre caratterizzato da break all'insegna del groove, come certificato anche in più parti, dalla seconda "Sleeping Knight's Sky", che alterna bordate blast-beat con rallentamenti più atmosferici o melodici. Non mi dispiacciono affatto i Lilla Veneda, nonostante alla fine mi ritrovi di fronte alla classica scoperta dell'acqua calda. Ma alla band non frega assolutamente un piffero delle opinioni altrui e proseguono a macinare riff tonanti e iper-tecnici ("Biomechanic Algorithm"), con l'eclettica prova vocale (tra growl e scream) di Virian (che abbiamo incontrato anche nei Voidfire) a prendersi la scena, mentre l'incedere qui sembra valicare anche i limiti del post black, sfociando poi in una parte acustica da applausi, prima di un finale esplosivo. E allora mi sembra di scorgere una certa voglia di osare, ben venga quindi. Anche laddove la band prova a imbastire ritmiche dapprima più compassate ("Iron-Black Pestilence") per poi evolvere in parti più forzate, isteriche e per concludere, con frammenti quasi avanguardistici, segno che alla band non piace giacere sugli allori ma in realtà, sembrano amare le sperimentazioni, per quanto siano ancora a livelli basici. Ma il margine di manovra c'è e sembrerebbe pure ampio, per permettere in futuro di sentirne delle belle. Anche perchè, proseguendo nell'ascolto di 'Primordial Movements', ci sarà modo di scorgere le robuste e martellanti melodie di "Scratched Crown", la magniloquente potenza di "Colossi" che mostra qualche punto di contatto con i nostrani Fleshgod Apocalypse, o ancora la ruvidezza scandinava di "Immortal Vision of Chaos", che si muove tra thrash e death metal, e che riserverà anche qualche sorpresa a livello vocale. Insomma, avrete capito che i Lilla Veneda vanno presi seriamente, anche quando nella title track si abbandonano a suoni decisamente più sperimentali (quasi industriali), sulla scia dei francesi CROWN. E non posso che applaudire per il coraggio che a inizio del mio percorso d'ascolto, non avevo minimamente intuito. In chiusura, l'ultima chicca, "Pytasz Co W Moim Życiu", un brano mid tempo tra atmosfere dark, melodie soffuse e voci spettrali, che la rendono il degno epilogo a un disco che rischiava anzi tempo, di essere bollato come bollito. Bravi. (Francesco Scarci)

giovedì 21 marzo 2024

Absque Cor - Na Zawsze Cieniem​.​.​.

#PER CHI AMA: Post Black
Un lungo arpeggio, una ritmica imponente dai tratti malinconici e un assalto sonoro all'arma bianca. Ecco lo scenario che mi si palesa quando faccio partire 'Na Zawsze Cieniem​.​.​.' dei polacchi Absque Cor, la classica quiete prima della tempesta che divampa come il peggiore degli incendi, tra martellanti ritmiche post black, vocioni impastati, brutali ma di grande impatto. Per quanto l'approccio con la poco rassicurante opener "Zapaść" non sembri dei più originali, devo ammettere che la proposta della one-man-band capitanata dal buon Vos, mi ha colpito. Basso e batteria aprono la successiva "Jeden Raz Za Dużo", la progressione musicale a braccetto con una certa tensione, si fanno palpabili, la musica ghiacciata nel suo incedere sembra paralizzarci per il terrore fino a un break atmosferico di grande intensità (e semplicità), che ci dà modo di riorganizzare le idee prima della sassaiola finale. Interessanti, parecchio, per quanto ci troviamo di fronte all'ennesima scoperta dell'acqua calda. Proseguo però con una certa curiosità e "Nawet Nie Próbuj"continua con quel suo impetuoso ma anche un po' sghembo martellare. La scorbutica proposta del factotum polacco qui assume le sembianze dei Blut Aus Nord, anche se quei break improvvisi mi tolgono la terra delle mie certezze da sotto i piedi per calarmi in un incubo a occhi aperti. Cavolo, fighi, soprattutto per quella capacità di cambiare pelle e acquisire qui un piglio quasi cerimoniale. Le sorprese comunque non si arrestano certo qui, visto che è il turno della quasi cacofonica "Dziękuję, że Jesteś" e i suoi dieci minuti di sonorità old-school, che sembrano aprire a un nuovo scenario sonico per il polistrumentista mittle europeo. L'ipnotico e sinistro sound degli Absque Cor non accenna a placarsi e continua a mietere vittime, visto il sopraggiungere della lunghissima (oltre 14 minuti) "Piosenka O Niczym", un'epica cavalcata che avrà modo di maciullarci con la sua rutilante e vertiginosa ritmica, le abrasive vocals del frontman e un senso costante di inadeguatezza che si declina attraverso un burzumiano intermezzo ambient che enfatizzerà le emozioni vissute durante questa prova di resistenza, a fronte dei 58 minuti di musica dell'hero polacco. In chiusura, "Солнце Мертвых", azzeccatissima cover dei russi Der Golem, per una miscela stralunata di post rock, industrial e blackgaze sulla scia dei primi Deafheaven. Un indovinato finale (anche se l'originale è di tutt'altra pasta) per un più che discreto lavoro. (Francesco Scarci)

Morbid Sacrifice - Ceremonial Blood Worship

#PER CHI AMA: Black/Death
Eccovi servito un po' di sanguinolento black death d'annata. Loro si chiamano Morbid Sacrifice, sono stranamente italiani per il genere proposto e 'Cerimonial Blood Worship' è il loro secondo album. Un lavoro questo che ci fionda indietro nel tempo di almeno 30 anni, giusto per stare stretti, visti i rimandi che si possono cogliere durante l'ascolto di questi otto pezzi, che ci catapultano ai bei tempi di Celtic Frost e Possessed, per non parlare poi dei satanici testi che costituiscono le liriche. Insomma, per i grandi nostalgici dei bei tempi andati, un tuffo al cuore con brani come la furibonda "Venomous Messiah" o la più compassata "Bloodsoaked Salvation", che per un minuto ci tiene sospesi sul vuoto per poi lasciarci cadere in un vorticoso death black old-school, fatto di atmosfere lugubri, ritmiche furiose e un growling chiaro e distintivo. Vorrei sottolineare che se siete alla ricerca di suoni freschi e moderni, qui non troverete nulla di tutto questo ma semmai grandinate detonanti ("Cremation Ritual"), ambientazioni insane e dai tratti infernali. I super nostalgici si ritroveranno anche una cover dei Sodom, "Conjuration", mitico estratto di 'Persecution Mania' del 1987, che per chi non la conoscesse, è una bella cavalcata thrash black. Ebbene, se vi servivano altri indizi per capire la proposta del quartetto italico, credo che questa rappresenti l'ultima inconfutabile prova. Per chi vuole invece avere ogni tipo di dubbio dissipato, si accomodi ad ascoltare le ultime "Serpent of Abomination", un death sporcato da venature doomish, e la più brutale "Bleed for the Horned King". A questo punto sono certo che la testa al toro sia definitivamente mozzata. Retrò. (Francesco Scarci)

martedì 19 marzo 2024

Cannibali Commestibili - Dio Sta Invecchiando Male

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Se tanto ho amato titolo del disco, artwork e moniker di una band che non conoscevo assolutamente, non posso dire altrettanto di essermi lasciato sedurre dai contenuti di questo 'Dio Sta Invecchiando Male', nuova release dei trentini Cannibali Commestibili. Mettiamoci però che il sound proposto dal terzetto italico non rientra proprio tra i gusti affini alle mie papille gustative, offrendo un alternative rock cantato in italiano. Sei i pezzi a disposizione dei nostri, brevi, essenziali, e con quella giusta presunzione di volersi ficcare nella nostra testa a tutti i costi, come accade con il coro dell'opener "Scimmie": per quanto mi riguarda, l'obiettivo però non è raggiunto. Posso tuttavia apprezzare il fuzz delle sei corde, la robustezza di qualche ritmica, soprattutto quella della title track, interessante anche per le sue liriche. Ma ci sono alcune cose che non mi hanno fatto impazzire durante l'ascolto dell'EP, la voce è una di queste, che a mio avviso, ha il suo perchè quando si propone più aggressiva e ben supportata dalla muscolosità delle chitarre. Le stesse chitarre poi, in taluni passaggi, mi indispettiscono per quel loro piglio hard rock che a mio avviso non rende giustizia all'ensemble e potrebbe bollarlo addirittura come discendente di gente del tipo di AfterHours o giù di li ("Cimice"). Direi invece che preferisco la band in comparti più attuali e sperimentali come accade in "Vodka Economica" che, tra vaneggiamenti di primusiana memoria, testi psicotici e passaggi più claustrofobici, mostra la parte più sperimentale del trio. Lo stesso dicasi per la stravaganza di "Ballerine Splatter", bella furiosa nel comparto vocale e nelle brevi schegge chitarristiche, o in chiusura, con l'ossessività paranoica della breve "Il Finale". Insomma, un disco che per quanto mi riguarda, ho faticato ad apprezzare fin da subito, ma che nella sua brevità, potrebbe comunque riservare qualche bella sorpresa. (Francesco Scarci)

lunedì 11 marzo 2024

A/Oratos - Ecclesia Gnostica

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Non sembra ci sia voglia di cambiar politica in casa Les Acteurs de L’Ombre Productions, della serie squadra che vince non si cambia. Eppure, a un certo punto, inizierei a cercare qualcosa di più originale per evitare di incancrenirsi con proposte che rischiano di divenire un po' troppo scontate. Oggi mi trovo di fronte i parigini A/Oratos che provano a mischiare un po' le carte, muovendosi comunque nel panorama black di casa. 'Ecclesia Gnostica' è il loro primo album su lunga distanza, dopo l'EP 'Epignosis' uscito nel 2019. Ora, dopo un covid di mezzo, la band torna finalmente a far sentire la propria voce con sette nuovi brani che si muovono nei meandri di un black glaciale, contrappuntato da una vena mistico-esoterica che si declina attraverso alcune parti vocali salmodianti in un po' tutti i pezzi. Si parte dalle ritmiche infuocate dell'opener "Le Hiérophante", guidate comunque da una discreta ed epica melodia di fondo e dal dualismo vocale (black/pulito) di Aharon (che abbiamo peraltro avuto modo di incontrare recentemente anche con i suoi Griffon). Diciamo che se non ci fossero state queste parti declamate in francese, avrei tagliato corto nella recensione, descrivendo i nostri come una delle tante band seguaci dei dettami Swedish black dei Dark Funeral. Fortunatamente, ci mettono del loro e in quel caos sonoro generato, riescono addirittura a carpire la mia attenzione. Penso al pacato arpeggio che apre "Deuteros" e che ci dà modo di prender fiato dopo il martellamento asfissiante delle prime tracce. Poi la song prosegue tra le maglie sghembe di un black sinistro (o "gnostico", cosi come definito dalla band stessa). Ancora meglio, citerei le orchestrazioni adoperate nell'incipit di "Le Septième Sceau" (o nell'atmosferica "Ô Roi Des Eons"), un brano le cui trame chitarristiche evocano in un qualche modo la musica classica, un po' come fatto in passato da Dispatched o Windir, cosi come da sottolineare, c'è pure più ampolloso passaggio dai tratti sinfonici. Quello su cui lavorerei ora è una maggior ricerca di originalità, che già emerge a tratti nell'evoluzione di questo disco, ma che rimane spesso ancorata alla brutalità delle ritmiche. Per il resto, la strada imboccata sembra quella giusta, ma qualche accorgimento lo prenderei per il futuro. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2024)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/ecclesia-gnostica

venerdì 1 marzo 2024

Griffon - De Republica

#PER CHI AMA: Symph Black
Terzo album per i nostri amici Griffon, band parigina che abbiamo già avuto modo di ospitare qui nel Pozzo un altro paio di volte. 'De Republica' è il terzo album per il quartetto transalpino che continua a mostrarsi particolarmente ispirato, forse qui ancor più che in passato, grazie a un black/death che sembra incrementare quell'eredità sinfonico-goticheggiante che avevamo apprezzato in passato. E cosi, già l'iniziale "L'Homme du Tarn" (ispirata a un'icona antimilitarista francese, Jean Jaurès) regala grandi emozioni tra scorribande in territori estremi, rallentamenti dal taglio sinfonico e i vocalizzi del duo formato da Aharon e Antoine, che si muovono in molteplici territori, dallo scream efferato al pulito gotico, fino ad arrivare a un growling comunque espressivo. Complimenti, dopo il primo brano comprerei il disco a scatola chiusa. I nostri intanto proseguono nella narrazione della storia francese con brani altrettanto corposi, e la violenza espressa in "The Ides of March" ne è la prova, con un'alternanza tra furibonde ritmiche, parti più atmosferiche e altre ancor più sinfoniche che strizzano l'occhiolino ai nostri Fleshgod Apocalypse, ma anche alla musica classica, soprattutto nel comparto solistico di questo brano (ma da estendere poi anche agli altri). "À l'Insurrection" ha un piglio rutilante che ammicca tanto ai primi Dispatched quanto alle forme più orchestrali di black metal, il che palesa la grande personalità e fiducia dei nostri nel proporre un sound fresco che mancava da un po' in questa scena. Bel colpo, mi fa piacere notare la crescita costante dei Griffon, ancor più palese nella successiva "La Semaine Sanglante", forse il brano che più ho apprezzato, per quel suo approccio epico che mi ha evocato anche un che degli Emperor nelle partiture più agguerrite, senza scordarsi della bellezza degli assoli e delle pompose ed eloquenti linee melodiche. Insomma, tanta roba. Anche laddove i nostri partono col freno a mano tirato ("La Loi de la Nation"), per poi lasciarlo in una discesa vorticosa negli abissi, la band si dimostra costantemente ispirata e mai scontata. A chiudere il disco, dotato peraltro di una splendida copertina, ecco la title track, che ci regala gli ultimi sontuosi minuti di un'ottima quanto inaspettata release: qui, tra solenni narrazioni in stile Misanthrope, registrazioni di battaglie, una tensione crescente e un suono compassato ma sempre magniloquente, esempio della grandeur francese anche nella musica, i nostri chiudono in bellezza un disco che si appresta a posizionarsi nella mia top ten dell'anno. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2024)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/de-republica

venerdì 16 febbraio 2024

Esoteric - Epistemological Despondency

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Funeral Doom
Sono passati 30 anni, ben tre decadi dall'uscita di questo memorabile lavoro che risponde al nome di 'Epistemological Despondency', atto primo dei britannici Esoteric. Era peraltro sempre la Aesthetic Death a far uscire una release che torna oggi in digipack, edizione limitata e rimasterizzata, un evento che celebra la storica uscita di un doppio cd che probabilmente ha fatto la storia in ambito funeral doom e, al contempo, inaugura la Vynil Series dell'etichetta inglese. E allora che dire di nuovo di un disco che già il fatto che duri ben 88 minuti per sei brani, rappresenta già il manifesto programmatico della band originaria di Birmingham. Ah Birmingham, quante ne hai viste, dai Judas Priest ai Napalm Death, passando per i Black Sabbath, fino ad arrivare agli Esoteric appunto. Esoteric che con questo lavoro pongono una pietra miliare di un genere, cosi come avevano fatto i loro illustri concittadini. E allora, se ancora non conoscete questo ambizioso e mastodontico album, non potete far altro che lasciarvi avvinghiare dalla morsa mortifera dell'allora sestetto (dotato di tre chitarristi) guidato da Greg Chandler. Vi accompagnerà già dall'introduttiva "Bereft" (20 minuti!!) in un viaggio nel profondo della vostra psiche, tra chitarre ultra ribassate, atmosfere super psichedeliche condite da voci che rimbalzano come l'eco contro le pareti, mentre le chitarre producono caleidoscopici e camaleontici riff. La musica vi entrerà cosi dentro, arrivando a toccarvi direttamente le budella, estraniandovi dal mondo che vi circonda. Vi renderete presto conto che questo sarà uno dei tanti effetti psicotropi in grado di generare questo disco, visto che la successiva "Only Hate (Baresark)" potrebbe sembrarvi semmai un tributo ai Napalm Death di 'Scum', visti i soli due minuti e 40 a disposizione, affidati a ritmiche incendiarie grind e vocalizzi animaleschi. Esperimento stravagante che serve forse a spezzare la monoliticità dell'opener prima di affidarvi ai 19 asfissianti minuti di "The Noise of Depression", una song che si affida nuovamente ad atmosfere iper dilatate, almeno per i primi cinque minuti, per poi sfociare in territori che potrebbero evocare un altro (capo)lavoro uscito un anno prima, 'Transcendence into the Peripheral' dei Disembowelment per poi sprofondare nuovamente in lugubri e pachidermiche atmosfere funeral. "Lamented Despondency" apre il secondo terzetto di brani con suoni peculiari in sottofondo, ma quando attaccano le cavernose vocals di Greg, vi renderete ben presto conto di essere stati catapultati in un altro incubo a occhi aperti. "Eradification (of Thorns)" suona più ruvida, forse perchè sembra mostrare un retaggio ancorato al death doom dei My Dying Bride degli esordi, con qualche ammiccatina anche ai Cathedral di 'Forest of Equilibrium', anche se le demoniache vocals del frontman sembrano distanziarci un po' dai due colossi inglesi. Chiusura affidata ai 26 minuti (si avete letto bene) di "Awaiting My Death", una maratona vera e propria, una song che da sola avrebbe potuto costituire un disco a sé stante, una traccia ancor più liquida delle precedenti tra partiture arpeggiate, un'effettistica ricercata, echi e riverberi ancor più forti, derivanti dalla psichedelia dei famigerati anni '70, che fanno forse ricadere la band nel funeral forse solo per le growling vocals. Non temete perchè l'ossessività del doom farà breccia nelle vostre anime ormai straziate anche nel resto della song, che vanta peraltro un fantastico assolo che chiude un super pezzone per un disco quasi unico nel suo genere, che merita di stare nella collezione di tutti gli appassionati di queste sonorità. (Francesco Scarci) 
 

mercoledì 14 febbraio 2024

Dominion of Suffering • Phobonoid - Split

#PER CHI AMA: Black/Death
Split album in casa Godz ov War Production che mette insieme i nostrani Phobonoid con gli elvetico/slovacchi Dominion of Suffering per quaranta minuti di vorticose, sanguinarie e intriganti sonorità estreme. Sono proprio questi ultimi ad aprire le danze con un sound sparato ai mille all'ora che ci annichilerà con la furia delle sue ritmiche e di belluine screaming vocals. Quello che mi sorprende durante l'ascolto di "The Way of Destruction", ma ancor di più in "Descendant of the Fallen Gods", è la capacità del quartetto di coniugare il black con porzioni heavy metal anni '80, come se questo lavoro fosse stato concepito ormai 40 anni fa. Interessante poi il fatto di proporre qualche assolo che potrebbe evocare i fasti del thrash/death teutonico (questo lo si evince anche in alcune linee di chitarra), cosi come pure porzioni ritmiche che paiono ispirarsi all'oscurità dei Celtic Frost. Decisamente di un piglio diverso la proposta di Lord Phobos, il mastermind che si cela dietro al moniker Phobonoid, che già abbiamo avuto modo di apprezzare in passato per quel suo black sperimentale. "Cosmonauta Eterno I" ci impiega però oltre due minuti a ingranare ma per fortuna ne dura circa dieci e mezzo. Qui la one man band trentina torna a deliziarci con suoni dallo spazio profondo, quel cosmic black freddo e cibernetico, capace invece di scaldarmi l'anima con quelle partiture atmosferiche in cui ammicca ai Blut Aus Nord o ai Progenie Terrestre Pura, soprattutto nella seconda metà del brano, ove le vocals rimangono in sottofondo e il driver del brano è dato dalle melodie sci-fi del polistrumentista italico. Ottimo, come sempre, ma devo ammettere di essere già un fan dei Phobonoid. "Cosmonauta Eterno II" riduce il numero dei giri del motore, con un'atmosfera mortifera, quasi catacombale, fonte di disagio interiore grazie ai suoni pilotati da un plumbeo basso e dalle vocals mefitiche del frontman. Il flusso melodico si canalizza poi attraverso essenziali linee di chitarra e porzioni di synth che rendono la proposta più bombastica all'ascolto e che confermano le eccelse qualità di Lord Phobos. L'ultima traccia è poi un outro ambient che segna la fine di un nuovo viaggio interstellare in compagnia dei Phobonoid. (Francesco Scarci)

Zmarłim - Ziemie Ja​ł​owe

#PER CHI AMA: Black/Death
Stranamente gli Zmarłim non sono riportati su Metal Archives, quindi non starò troppo a tediarvi su che album sia il cui qui presente 'Ziemie Ja​ł​owe' nella discografia della band polacca (ma vi direi che quello di oggi è in realtà l'EP del 2018 con una nuova cover, e con l'aggiunta di un breve intermezzo ambient e un nuovo brano). Per chi non li conoscesse, vi basti sapere che il trio originario di Konskie propone un black alquanto caustico, di quelli che non lasciano troppo spazio alla melodia, ai fraseggi ricercati o all'avanguardismo. Le prime tre tracce sono datate 2018 e ci si potrebbe aspettare che suonino più grezze rispetto alle successive, palesandosi con un suono che evita troppi spargimenti di sangue, dimostrandosi chirurgico nell'esecuzione, nelle rasoiate ritmiche, cosi come negli inaspettati rallentamenti pseudo-atmosferici della lunga "Szuflady" o nelle glacialità delle sue chitarre. Diciamo che il terzetto polacco offre una proposta piuttosto tradizionale per il genere, differenziandosi magari da altri colleghi, per soluzioni chitarristiche un filo sghembe ("Wędrowcy"), inserite in un contesto davvero privo di compromessi. Detto dell'inutile intermezzo strumentale, focalizziamoci maggiormente su "Patrzą Na Nas Tylko Satelity" che ipotizzavo meno grezza rispetto alle precedenti. La sensazione comune è invece che i nostri siano diventati ancora più sporchi e cattivi con influenze che spaziano dal punk/hardcore al grind/death, con una violenza tale da non lasciare prigionieri e sprigionare anzi una malvagità che sembrava quasi inespressa nei precedenti pezzi. Staremo a sentire in futuro che direzione prenderanno i Zmarłim, per ora provate a dargli un ascolto. (Francesco Scarci)

domenica 11 febbraio 2024

Suffer Yourself - Axis of Tortures

#PER CHI AMA: Funeral/Doom
Quel che si suol dire un facile album da recensire... Si perchè qhuello degli svedesi (ma in realtà originari di Kiev) Suffer YourSelf, è un'angosciante proposta di un'ora tonda tonda di funeral death doom. 'Axis of Torture', quarta opera del quartetto, è un disco di quattro pezzi più intro e outro, quindi potrete immaginare come quella da affrontare sia in realtà una staffetta di quasi 15 minuti per ognuno dei pezzi inclusi, fatta di suoni soffocanti, annichilenti la mente e l'anima grazie a sonorità che, già dall'iniziale "Axis Insanity", ci stritolano nella morsa di un plumbeo funeral doom che vede alternarsi a violente schitarrate death, mentre la voce cavernosa del frontman, affronta altrettanto leggere tematiche legate alla sofferenza, al dolore e alla disperazione. Lo ribadisco, un disco facile facile, anche nell'ascolto. Ovviamente, continuo a essere ironico, però i Suffer Yourself (un nome, un programma) ci mostrano come oggi sia ancora possibile proporre funeral doom, senza scadere nel problema del "già ascoltato". Questo perchè i nostri sono abili costruttori di ossessive partiture al limite della tensione emotiva, a cui accostare quelle accelerazioni death che strizzano l'occhiolino indistintamente a Incantation o Disembowelment, mentre tutto il disco potrebbe rievocare i fasti funerei dei primissimi My Dying Bride. La differenza con questi ultimi sta però in una maggiore classe dei nostri che si declina in più raffinate partiture atmosferiche e in una maggiore cura dei suoni. La prima traccia (anzi la seconda per diritto di cronaca) quindi supera di sicuro la prova, lasciando il campo poi ai 17 minuti di "Axis Despair", che risulta essere ancor più asfissiante nel suo monolitico incedere che si dipana attraverso un incipit che sembra stringerci al collo, generando pensieri negativi e mortiferi, con quelle stridule chitarre in sottofondo, raddoppiate da un altro strato di suoni che non possono far altro che produrre incubi a livello subconscio. E pian piano, i nostri aumentano i giri del motore, mentre le voci si fanno più demoniache, il suono ancor più mastodontico tra un rifferama compatto e profondo, e una serie di assoli alla sei corde, a rendere il tutto più convincente e accattivante. Ma i Suffer Yourself non sono certo dei pivelli e la loro esperienza maturata attraverso 13 anni di vita e quattro album, nonchè il mastering di Greg Chandler (Esoteric, Lychgate), li consacra a essere una valida alternativa ai mostri sacri del genere, e penso a Evoken o My Shameful. E arriviamo ai dieci minuti e mezzo di "Axis Pain", che sembrano quasi una passeggiata rispetto alle due precedenti mostruose tracce, complice anche una maggior ricercatezza sonora, almeno nelle linee iniziali della song, prima di perdersi nei labirinti psicotici di un death metal poco affabile, direi sghembo e malato, che si saprà alternare a porzioni atmosferiche e melodiche per un risultato di sicuro valore. "Axis Time" si apre con il cantico del soprano Kateryna Osmuk che, non solo è responsabile delle backing vocals growl del disco e della batteria, ma ci delizia per alcuni secondi con la sua magnifica e raffinata ugola. Poi il canovaccio non muta poi di molto nel resto della traccia, se non per proporre qualche parte di tastiera più spettrale, cosi come stralunate linee di chitarra o eleganti arpeggi che confermano l'ottimo lavoro dei nostri. Ora spetta a voi armarvi di santa pazienza e affrontare questa indolente discesa verso gli abissi dei Suffer Yourself. (Francesco Scarci)

venerdì 2 febbraio 2024

Sarneghera? - Il Varco nel Vuoto: Tales From the Lake Vol​.​2

#PER CHI AMA: Alternative/Math Rock
Tornano i bresciani Sarneghera? per raccontarci altre epiche storie proveniente dal lago d'Iseo, utilizzando quel loro stralunato sound che già avevamo avuto modo di apprezzare in 'Dr​.​Vanderlei: Tales From the Lake Vol​.​1', atto primo del quartetto nostrano. 'Il Varco nel Vuoto: Tales From the Lake Vol​.​2' prosegue su coordinate similari, arricchendosi tuttavia di ulteriori richiami che, nella distruttiva traccia d'apertura, "Human Killa Machina", sembrano accostare a quella disarmonica linea ritmica già descritta nel debut, richiami di "beatlesiana" memoria nel bridge centrale o addirittura echi dei The Buggles, quelli che cantavano "Video Killed the Radio Stars", per intenderci. Sarò un visionario, però questo è quello che ci sento, nonostante la band lombarda ci prenda a badilate sul muso. E continuano a farlo anche nella più punkeggiante "Vono Box", una cavalcata abrasiva interrotta da momenti più ragionati, che rendono l'ascolto dei nostri più interessante, soprattutto a fronte di un'alternanza vocale - pulito/distorto - alquanto azzeccata e a delle liriche che ancora una volta miscelano più lingue. "Sos" è un pezzo più ipnotico, grazie a un'arpeggiata parte introduttiva che lascerà ben presto il posto a una roboante ritmica in grado di evolversi ulteriormente verso più direzioni, tra il math, l'alternative e il post metal cinematico. Non si tirano certo indietro i Sarneghera?, il braccino corto lo lasciano ad altri e provano in mille modi a sperimentare, riuscendoci poi più o meno bene e non importa, ciò che è rilevante è quello che ne venga fuori sia sicuramente ancora assai apprezzabile. Ultimo brano e sento anche qui odore di provocazione, cosi com'era successo nel primo EP: "L'Universo è una Parte di Me", cantata anche qui in italiano (un'altra analogia col precedente lavoro), mescola garage rock, indie, alternative, post-hardcore e tanto altro, per un pezzo breve, ma ficcante al punto giusto. Mentre mi rimetto ad ascoltare l'EP, ribadisco la necessità di un lavoro più lungo per meglio tastare il polso dei bravi Sarneghera?. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings/I Dischi del Minollo - 2023)
Voto: 74

https://sarneghera.bandcamp.com/album/il-varco-nel-vuoto-tales-from-the-lake-vol-2

giovedì 1 febbraio 2024

Cultum Interitum - Sacrum Funeral

#PER CHI AMA: Black/Death
Dall'antro della bestia ecco arrivare il terzo album dei polacchi Cultum Interitum. La sensazione che ho provato durante l'ascolto di "S", l'opener di questo 'Sacrum Funeral', è infatti quello del fiato putrido che sgorga dalle viscere di un mostro infernale. E altrettanto putrido è anche il sound del misterioso terzetto di Varsavia, che libera un black sinistro, rozzo, mostruoso e inquietante, fatto di accelerazioni scellerate e ignobili rallentamenti atmosferici, in cui il minimo comune denominatore, rimane una voce gorgogliante e posseduta, che sembra arrivare direttamente dall'Inferno. E il suono cavernoso, turbolento e malefico si conferma anche nella successiva "A", in cui percepisco peraltro influenze derivanti da Aevangelist e Portal, in un vorticoso maelstrom sonoro che vi risucchierà nel gorgo. Un vortice dal quale emerge un latrato che dura parecchi secondi all'inizio di "C", per lasciar poi posto a un caos sonoro senza soluzione di continuità che vi lascerà basiti, quanto il sottoscritto, durante l'ascolto di questa annichilente proposta black/death, che arriva ad arricchirsi di ulteriori suoni disturbanti in sottofondo in coda alla song. La violenza prosegue impunita anche in "R", un'altra traccia dove si vive un'alternanza frastornante di umori e atmosfere, tra roboanti accelerazioni e spaventosi rallentamenti, che ci accompagnano attraverso una perpetua oscurità fino a "V", breve ma martellante e mefitica come poche. L'ultima "M" (e i titoli dei brani completano cosi la parola SACRVM) è la conclusiva e definitiva traghettata verso l'abisso, tra sonorità doom, black e funeral apocalittico che sanciscono la malvagità dei Cultum Interitum. (Francesco Scarci)

RüYYn - Chapter II: The Flames, The Fallen, The Fury

#PER CHI AMA: Black Old School, Gorgoroth
Mi sono preso una lunga pausa, lo ammetto, ma ora sono tornato. Il mio rientro coincide con la recensione della one man band francese Rüyyn, una creatura, quella guidata da Romain Paulet, che avevamo già ascoltato in occasione del debut EP del 2021. Il progetto del factotum transalpino torna con un nuovo capitolo, 'Chapter II: the Flames, the Fallen, the Fury', e un black sound che si conferma rabbioso, glaciale, caustico. Si perché le sei tracce qui incluse, proseguono in quella medesima direzione iniziata in occasione dell'uscita omonima, anzi sembrano aver addirittura aumentato i giri del motore, come dimostrato dalle selvagge ritmiche di "Part I" o del suono più rutilante di "Part II". Lo spazio per deviazioni più atmosferiche non manca nemmeno in questo lavoro e ancora le porzioni più riflessive di "Part II", lo palesano. Poi largo a ritmiche di rimembranza norvegese, con i Gorgoroth in cima alla lista delle influenze, in compagnia però di mostri sacri come Mgła o Deathspell Omega. Non mancano tuttavia anche dei richiami al prog rock che conferiscono in questo caso maggior brio alla proposta del polistrumentista. Strano che mentre scriva queste cose, sia ancora fermo al palo del secondo pezzo (quasi nove minuti), il brano che forse meglio incarna lo spirito dei Rüyyn. Andando avanti, è ancora la furia distruttiva black/thrash a farla da padrone, con la voce vetriolica del frontman e le chitarre, a tratti dissonanti, a guidare l'ascolto. Se "Part III" non tocca le mie corde nel modo adeguato, ci pensa però la più criptica e complessa "Part IV" (altri otto minuti e mezzo di lampi di classe) a sostenere la qualità di un lavoro che affonda le proprie radici negli anni '90 e li riporta in auge con un livello qualitativo medio alto. I due brani in chiusura, "Part V" e "Part VI", proseguono con quanto di buono fatto sin qui, sebbene non mostrino la medesima qualità compositiva. Cercherei infatti per il prossimo disco di lavorare maggiormente sulla personalizzazione dei suoni, per evitare di ritrovarmi qui alla prossima recensione, di fare l'elenco delle band a cui i Rüyyn potrebbero essere accostabili. (Francesco Scarci)

mercoledì 17 gennaio 2024

Fluisteraars - De Kronieken Van Het Verdwenen Kasteel - II - Nergena

#PER CHI AMA: Pagan Black
Ho recensito la prima parte di questo trittico di EP 10", degli olandesi Fluisteraars, mi sembrava quindi doveroso darvi un feedback anche sul secondo capitolo, in attesa del terzo atto. Beh, la band la conoscete, auspico tutti, e si fa portavoce di un black furioso, mistico e misterioso. Le melodie di "De Maan, Zon Van de Doden", che aprono 'De Kronieken Van Het Verdwenen Kasteel - II - Nergena', minimizzano quell'incedere distruttivo ma, direi meraviglioso, che contraddistinguono il pezzo. Un eco dei Negura Bunget a livello percussivo e nell'utilizzo di inusuali strumenti sonori, accompagnati dalle catramose vocals di Bob Mollema, mi fanno sussultare dalla sedia per un brano che vede un finale più doomish e venato da tinte folkloriche. Spettacolare, cosi come auspico lo sia altrettanto il side B del disco, "De Mystiek Rondom de Steen des Hamers". E questa, pur risultando in apparenza più lineare del side A, non delude le aspettative, e nella sua maestosa epicità, conferma la bontà della band olandese e una crescita musicale davvero invidiabile. (Francesco Scarci)

lunedì 15 gennaio 2024

Il Fiume - Brucia

#PER CHI AMA: Grunge/Indie
Diavolo, non la cosa più semplice da recensire da parte del sottoscritto. Quello de Il Fiume è infatti una versione italiana del grunge sporco e incazzato di primi anni '90. Ascoltando "Ancora", la traccia d'apertura di 'Brucia', ho sentito infatti forti influenze provenienti da 'Bleach', senza trascurare tuttavia un'aura malinconica che sembrerebbe derivare dai primi Smashing Pumpkins. Mi dovrà scusare la band se il mio background musicale in questo ambito non sia cosi esteso, e conosca solo i capisaldi del genere, ma quei mostri sacri che hanno scritto un'epoca, li ritrovo nello scorrere di queste sette tracce. Qualcosa di simile anche nella seconda song, la title track, in cui ancora l'eco di Kurt Kobain e soci, periodo 'Nevermind', si palesa nel refrain delle chitarre e in un cantato in italiano che ben ci sta in questo contesto indie-grunge rock. Graffianti le linee di chitarra di "Frustrazione", che mostra suoni più sghembi e distorti rispetto ai precedenti, ma la brevità dei prezzi, la linearità delle melodie, il cantato nella nostra lingua madre, rende comunque facilmente fruibile (e apprezzabile) l'ascolto di 'Brucia'. Certo, non siamo davanti a chissà quale capolavoro artistico, ma il disco de Il Fiume si lascia piacevolmente apprezzare in tutti i suoi brevi e immediati brani, di cui sottolineerei ancora la psichedelia di "Karma Armonico" e la robustezza ritmica di "Ne Porto il Ricordo", che ammicca, con i suoi suoni nudi e crudi, ad un mix tra punk e hardcore. A chiudere l'EP, la più intimista e straziante "Qualcosa" che delinea a tutto tondo la proposta musicale de Il Fiume. (Francesco Scarci)

domenica 14 gennaio 2024

Maul - Desecration and Enchantment

#PER CHI AMA: Death/Doom
Un po' di sano marcescente death metal dalla Svez...no ho sbagliato, dagli Stati Uniti. La band originaria del North Dakota mi ha un po' spiazzato in effetti con questo 'Desecration and Enchantment', visto un sound che sembra essere devoto, almeno inizialmente, a quello "made in Sweden" dei Grave, ma che in realtà nel corso dell'ascolto, muterà più volte, abbracciando anche influenze floridiane (e penso agli Obituary). Questo è quello che si evince dall'iniziale "The Sacred and The Profane / Hovering, Sinking", song che li per li, mi stava portando a bollare questo EP come l'ennesima proposta priva di personalità. Invece, il dischetto palesa influenze esoteriche, doom, sludge e quant'altro. Signori, questi sono i Maul, quintetto di Fargo, che vi saprà ammaliare con la propria proposta estrema si, ma al contempo melodica, oscura, malefica, contraddistinta da profondi chitarroni, growl mefitiche, ma anche parti atmosferiche e mid-tempo ("Disintegration of the Soul"). La seconda traccia mostra anche il lato più progressive, dei cinque brutti ceffi americani, in una song comunque ricca di colpi di scena tra break acustici, ripartenze black e un sound comunque coinvolgente. La versione in cassetta include anche una terza song, "Worshipping Self-Deviance", ma ahimè non è nelle mie mani. Quindi cercate voi la tape e date una chance a questo lavoro. (Francesco Scarci)

(20 Buck Spin - 2023)
Voto: 72
 

mercoledì 10 gennaio 2024

Bolt Gun - The Warren

#PER CHI AMA: Black/Post Metal
Avete presente il buon Iggor Cavalera dei Sepultura? Ebbene, si è messo in "società" con gli australiani Bolt Gun per rilasciare questo EP, intitolato 'The Warren', che dovrebbe fare da apripista al terzo lavoro dei Bolt Gun. Due pezzi comunque all'insegna di un caustico black/post metal che si palesa piuttosto convenzionale (per non dire piattino) nei primi due minuti della prima parte di "The Warren" per poi mutare completamente pelle con l'intervento di un elegante sax che rompe quel ritmo ridondante di un incedere maltoa che sembra poter gonfiarsi, crescere ma in realtà rimane strozzato fino a quando esplode una ritmica martellante e distopica, un assalto all'arma bianca che non fa prigionieri. La chiusura del primo brano è lasciata a claustrofobici suoni ambientali che ci preparano alla seconda parte del brano, "The Warren Part II". Qui l'incipit atmosferico è melodico, introspettivo, triste, per poi virare verso l'inquietante, il sinistro fino a che compare il drumming potente di Iggor in uno scenario che ha quasi dell'apocalittico, sebbene sembri che confluiscano nel sound della band influssi di matrice jazz. Le chitarre ripartono su un black mid-tempo, accompagnate dalle vocals strazianti del frontman e di una dinamica sonica che ancora una volta sembra poter decollare grazie al ringhiare delle chitarre che sommergono di note la voce del cantante che si perderà sotto una fitta e opprimente coltre di rabbia e negatività. Ora non posso che aspettare con ansia il full length. (Francesco Scarci)

giovedì 4 gennaio 2024

Vale Of Tears - Oxymora I.

#PER CHI AMA: Melo Groove Death
Arrivano da Karcag in Ungheria e non devono essere confusi con gli omologhi, ma ormai sciolti, originari di Budapest. I Vale of Tears di quest'oggi, si sono formati addirittura nel 1997 e 'Oxymora I.' è un EP che arriva 14 anni dopo il precedente full length 'Illdisposed Inner Interest', quasi a dire "ragazzi non temete, siamo ancora vivi". E allora fatevi investire anche voi dal roboante sound melo death del quintetto magiaro. Un trio di song che arriva giusto in tempo per prenderci a schiaffoni con i loro riff tritasass: "Antibiosis" ne è un chiaro esempio tra un riffing sincopato, growling vocals e ottimi assoli, a cui aggiungere anche la partecipazione di tal Péter Kelne. "The Loudest Silence" prosegue l'opera demolente, in un intrecciarsi di ottimi assoli che sfrecciano piacevoli su questo tessuto ritmico davvero pesante (e che forse andrebbe leggermente alleggerito). I growls di Ferencz Mulicz sono davvero da orco cattivo, ma in questo contesto ci stanno dopo tutto benino. In chiusura, "Limited Freedom" suona più fresca, più moderna, più melodica e sembra quasi meno mastodontica, soprattutto grazie allo splendido lavoro delle asce e a delle influenze elettroniche che ci mostrano un lato differente dei Vale of Tears. Insomma, un ritorno che per alcuni potrebbe essere anche gradito, per me invece una piacevole sorpresa. (Francesco Scarci)